Nella Sua Mano

Par Pat Lawrence

 

Da quando ero piccola, accettavo l’esistenza di Dio.  I miei genitori erano missionari in Guyana, in America del Sud ed era lì a una tenera età che ho capito che Gesù era il Signore. Quell’esperienza per me era molto reale ma non era a questo punto della mia vita quello che ha dato direzione alla mia vita.

Sfortunatamente, ho un altro ricordo della mia gioventù non molto bella.  Un giorno, in un supermercato, un uomo mi molestò.  Corsi fuori e lo dissi a mio padre che andò subito a cercare quell’uomo.  Non lo trovò, ed uscendo dal supermercato mio padre era molto arrabbiato.

Tornammo a casa, ma purtroppo, mio padre non mi spiegò che era arrabbiato con quell’uomo e non con me ed io pensai, “ho sbagliato!  Papà é arrabbiato con me!”  Iniziai così ad odiare gli uomini.

Durante la mia adolescenza la mia famiglia tornò in Canada.  Avevo dimenticato quell’episodio orribile nel supermercato che mi era successo quando ero piccola.  Ma poi un mio cugino mi violentò.  Iniziai a credere che Dio non mi amava e di conseguenza smisi di pregare.

Andai dal pastore che mi chiese, “Patrizia, come stai?”  “Vuoi sapere come sto?” esplosi.  “Malissimo!  Odio … questa chiesa …e tutto ciò che ha da fare con la chiesa!”  Invece di chiedermi il perché, mi castigò.  “Ti dovresti vergognare!  Hai dei genitori buoni, e una chiesa che ti insegna la Bibbia …”.  Non ce la facevo più.  Mi alzai e dissi “Lo so!  Ma non m’interessa!  Non tornerò mai qui.”

Tornai a casa e dissi a mio padre che volevo lasciare dietro tutto quel che può avere a che fare con Dio.  Invece di essere sorpreso, mio padre disse, “Patrizia, posso pregare per te?”   Poi chiese a Dio di far diventare ceneri tutto ciò che facevo fino a che non feci Gesù Signore della mia vita.

Poco dopo, smisi a frequentare il liceo e trovai il primo lavoro.  Karen, un’amica di lavoro, mi portò ad un bar per le persone gay.  Quando entrai dissi, “adesso so dove appartengo.”  Mi sentivo a casa.

Karen ed io diventammo amanti.  All’inizio, provai a copiare il comportamento amoroso che avevo visto nei miei genitori.  Scoprii presto che malgrado la decisione di stare insieme, Karen continuava a frequentare altre donne.  Per sopravvivere, imparai presto le “regole” di questo gioco.

“Se le faccio vedere che ero gelosa, se ne va sicuramente” pensavo, così feci il contrario.  Al bar, la ignoravo e facevo la civetta con altre donne.  In questo modo Karen mi stava vicino per tutta la serata, proprio dove la volevo.

Bevevo molto,  e tutti mi conoscevano di essere una che sa litigare vero e proprio, anche a pugni.  Ma non lottavo mai con donne – solo con uomini.  In certi bar che frequentavamo c’erano uomini non omosessuali che venivano per “divertirsi”.  Bastava che uno di questi mi chiedeva di ballare, ed io lo attaccavo in piena furia.  Odiavo tutti gli uomini.

Karen ed io ci separammo tre volte in tutto il tempo che stavamo insieme.  Dopo la seconda volta, tornai a casa.  Una sera, provai a suicidarmi.  I miei genitori erano usciti ed io decisi di prendere delle pillole e andare a letto.  La mattina dopo, mia madre trovò nei rifiuti il contenitore di pillole vuoto e corse nella mia stanza.  Insieme a papà mi portarono subito all’ospedale.

Dopo dodici ore da quando avevo preso quelle pillole, la concentrazione delle droghe nel mio sangue era ancora sopra il livello letale.  “É un miracolo che sei ancora viva,” mi disse il dottore. Miracolo o no, non ero contenta.  “Dio, voglio morire!,” strillai “neanche questo mi fai fare!”

Poco dopo mi trovavo di nuovo nella vecchia vita, vivendo con Karen, frequentando i bar per donne omosessuali, prendendo le droghe.  “Nessuno mi capisce,” pensai.  “Se c’è qualcuno che mi capisce deve essere intontito di droghe come me e non gli importa.”

Una notte Karen ed io stavamo bevendo al bar.  Non mi ricordo come è iniziato ma io mi sono immischiata  in una lotta, e Karen mi trovò incosciente nella macchina, coperta di vetro.  Quando tornammo a casa Karen mi confrontò: “Senti, se non la smetti, te ne puoi andare!”

“L’hai detto una volta di troppo,” strillai in risposa, “mi hai mandato via, e poi mi hai chiesto di tornare.  Questa volta me ne vado e non tornerò mai più.”

Andai a stare da un’amica che si chiama Patty, che si era appena separata dal suo marito.  Lei mi capiva: tutte e due soffrivamo per la rottura di nostro rapporto con la persona che ci era molto cara.  Una sera, parlavamo dell’amore senza condizioni di Dio.  Patty era una nuova credente, e mi incoraggiò a parlare con Dio dei miei problemi e della mia vita confusa.

L’ascoltai e seguì il suo consiglio. “Signore,” pregai quella sera, “tutti mi dicono di lasciare la mia vecchia vita e amare Te, ma non so come farlo.  Se mi vuoi, mi puoi avere, ma non voglio essere solo una che scalda i banchi di una chiesa voglio avere una fede così grande di poter spostare montagne.”

Poi vidi nella mia mente un’immagine.  Ero sporca ed incatenata in una fossa.  Gesù era lì.  Ma non stava sopra dicendomi “dai alzati che ti aiuto”.  Egli venne giù in quella fossa dove mi trovavo, mi buttò le braccia intorno e mi disse, “Patrizia, ho sempre voluto solo te.  Ti amo per quello che sei.”  Da quella notte, cominciavo a dimostrare un interesse per Dio.

Non cambiai subito, però.  Per i prossimi sei mesi, continuavo ad uscire con Karen.  Poi la mia amica Patty tornò al suo marito, ed io tornai a casa dai miei genitori.

Per sette giorni avevo passato tutto il giorno sul divano guardando fuori dalla finestra, tremando. Poi, la notte di capodanno mia mamma mi chiese: “Patrizia, che problema c’è?”  “Non sono sicura,” dissi, “So solo che Dio e Satana stanno lottando dentro di me.  C’è una battaglia dentro di me, e non so chi vincerà.”  Mamma non lo sapeva, ma Karen mi avevo chiesto di tornare a vivere con lei.

Gridai: “Dio, ho bisogno di un miracolo!”  Non so cosa m’aspettavo come risposta, ma non successe niente.  Così ascoltai il nemico della mia anima e andai all’appartamento di Karen.

“Ciao,” gli dissi, entrando in casa “sono tornata.”  Karen, che era atea, mi sorprese.  “Tu ami troppo il tuo Dio.  Vattene!  Non ti voglio più qui!”  In quell’istante riconobbi che Dio aveva risposto alla mia preghiera.

Tornai a casa.  Squillò il telefono ed era il pastore che stava chiamandomi perché aveva lasciato detto alla sua segreteria telefonica che volevo parlargli . “Patrizia, hai chiesto se puoi dare una testimonianza e cantare in chiesa domani?  Va bene, siamo in attesa di vederti.”

Squillò di nuovo il telefono.  Questa volta era Karen.  “Scusami Patrizia,  per favore ritorna da me.”  Ma avevo già altri piani di tornare in chiesa, tornare a Dio.  “È troppo tardi” le dissi “è tutto finito tra di noi”.

Iniziai il nuovo anno cantando un assolo in chiesa della grazia meravigliosa di Dio.  Quel giorno – il primo gennaio 1980 – era un nuovo inizio per la mia vita.

Avevo perso il lavoro, così iniziai a cercarne uno nuovo.  Riuscii a trovarne uno con un gruppo cristiano a Toronto, Canada.

Dopo un paio di mesi, Karen iniziò a chiamarmi al lavoro.  Decisi di pranzare con il capo e di raccontargli tutto.  Volevo che sapesse del mio passato.

“Patrizia” mi disse, “quando sei venuta a fare il colloquio, sapevo che c’era qualcosa che stavi nascondendo, ma Iddio mi fermò e non me lo fece chiedere.  Adesso che sappiamo cosa sta succedendo, ti aiuteremo.”

Lavorando in quel posto era un tempo di guarigione.  Con tutte le nuove amicizie sane, imparai a vivere come una credente in Gesù Cristo tra queste persone che mi accettavano, anche sapendo del mio passato.  Anche con le mie paure, pregai che il mio amore per Dio mi potesse aiutare a rischiare ad amare altri.

Andai ad una scuola biblica.  Mi diplomai nel 1985, e tre Missioni mi chiesero di lavorare per il Signore all’estero, ma io avevo solo un pensiero: di lavorare tra gli omosessuali.

Non sapendo cosa fare, pregai “Signore, se vuoi che rimanga a Toronto, fammi incontrare una persona  “gay.”  La settimana dopo, mi chiamò mia sorella e mi disse che c’era un uomo che aveva predicato nella sua chiesa che lavorava fra gli “ex-gay”.  Lo chiamai, e mi invitò al gruppo.  Dieci giorni dopo la mia preghiera, mi trovai in una stanza con dodici persone che erano usciti dalla vita omosessuale.  Questo fu l'inizio del mio ministero a Toronto. Dopo di che, Dio mi ha guidato ad essere coinvolto in ex ministeri gay di tutto il mondo. Nel 1995 sono stato uno dei fondatori dell'Exodus Global Alliance. Sono stato direttore di Exodus Global Alliance dal 1995 al 2008.

Anche se c’è ancora molto da guarire nella mia vita, Dio ha già fatto molti miracoli.  Adesso, molti anni dopo, Dio continua a fare miracoli nella mia vita.  Sono sposata ad un uomo che mi ama e mi sostiene nel mio lavoro con il ministero a persone ex-gay in tutto il mondo come direttrice di “Exodus International” (Esodo Internazionale)

Mentre continuo a crescere nel Signore, ho imparato che la mia responsabilità è di essere ubbidiente al Signore secondo la Sua Parola.  Iddio farà tutto il resto.  Qualsiasi cosa porti il futuro, è rassicurante sapere che sono nella Sua mano.  Non vorrei essere da nessun altra parte.